giovedì 6 marzo 2014

"Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto." (Giordano Bruno)



Ieri è stato un giorno qualunque per me. Un giorno ordinario della mia vita nella mia città.

Ho un po’ di scadenze e progetti da portare a termine. Le ultime settimane si stanno rivelando piuttosto stressanti.  Tra il laboratorio da finire e il conseguente trasloco imminente, la progettazione e la realizzazione di tre nuove linee da lanciare al più presto, la programmazione e la presentazione a fiere e eventi a breve scadenza, i conti che non tornano mai e il tempo  che sembra dimezzarsi, le consegne e gli ordini a cui dare priorità, le giornate trascorrono velocissime.

La mia vita è costruita intorno al lavoro che sto cercando, con tutta la forza di cui dispongo, di far decollare per fargli assumere la dimensione adeguata a mantenermi, e alla mia città che vorrei che mi somigliasse un po’ di più, perché io sono sua figlia e, da terrona tradizionalista e amante della famiglia, mi piacerebbe poterla guardare e riconoscermi, come mi accade con le foto degli anni ’70 dei miei genitori.

E ieri, nella mia normale quotidianità, lavoro e città si sono intrecciate di continuo. Ed è stata normale emozione.

Sono giorni che mi misuro con un nuovo lavoro. Ieri mi sono scontrata con un tentativo fallito. L’anello sul quale sto lavorando, in corso di forgiatura, si è fratturato in due punti. Nel mio lavoro è normale. In fondo un po’ me l’aspettavo. Oggi ho ricominciato a lavorarci sopra, a partire da una piccola modifica del disegno, sono sicura di farcela. Spero solo che Alexandra, che me lo ha commissionato, abbia ancora un po’ di pazienza.  A giudicare dall’entusiasmo con cui mi parlava al telefono ieri sera, dopo aver visto le immagini delle prime prove di realizzazione (anche se rotte), sento di poter continuare a lavorare serena.
Ieri è anche arrivato il pacco pieno di materiale nuovo. L’agitazione che mi aveva accompagnato in fase di ordine, e che mi ha richiesto quasi 4 ore di selezione e valutazione poichè mai sperimentato prima per i miei lavori, ha lasciato in un attimo il posto all’entusiasmo di avere una nuova possibilità tra le mani. 
Ho anche scoperto che il pacco spedito lunedì è già arrivato a destinazione e Ivana me lo ha confermato soddisfatta, che i preventivi richiesti piano piano vengono inviati, che il materiale acquistato da 4 giorni giace ancora nel magazzino del negozio, che le scadenze per i bandi si avvicinano e il lavoro è ancora a zero.

Tutto normale.

Ieri mattina mi sono anche messa in macchina con Francesco e sono andata in giro in città per un paio d’ore.

C’era il sole.

Ieri era l’ultimo giorno utile per assistere alla Mostra d’arte “Correnti Seduttive”. Un progetto ideato e curato da Alessandra Eramo, tarantina che vive a Berlino. Alessandra ha messo insieme un gruppo di artisti residenti nella capitale tedesca (4 oltre lei) che nell' ottobre 2013, durante una permanenza di 3 settimane nel Castello Aragonese, hanno osservato e vissuto la città e si sono lasciati ispirare. Le opere create sono state esposte in tre punti tra il borgo e la città vecchia, anche grazie al lavoro di qualche nostro valido operatore culturale.

Il percorso è stato breve ma ricco.

E così soffiando dentro un tubicino trasparente che spunta dal gabbiotto abbandonato delle informazioni turistiche in piazza Garibaldi, alcune immagini confuse e disturbate proiettate sulle vetrate, diventano immediatamente nitide e riconoscibili. E i suoni provenienti dagli altoparlanti prendono forma. Ruote di bicicletta sulla strada della via principale, i cani randagi che abitano piazza fontana, il mercato del pesce. E ho dovuto respirare profondamente per vederle, ho dovuto fare fatica, “sbuffare”. E, purtroppo, in questa città, a volta è necessario che qualcuno ti gridi nell’orecchio di “sbuffare” (magari anche qualche voce amica), perché altrimenti non riuscirai a vedere quanta bellezza ti circonda. E la consapevolezza della forza e della resistenza che ci vuole, si è palesata quando, pur essendo convinta di soffiare in quel tubicino, l’immagine è rimasta sfocata, e in quel momento la necessità istintiva di vedere chiaro e godere di quella vista mi hanno costretto a far uscire tutta l’aria immagazzinata nei polmoni, quasi come in un grido, ma era solo un soffio. E sono andata via da quel gabbiotto pensando che dovrà pur arrivare il giorno in cui ci basterà respirare normalmente per poter vivere in armonia con gli elementi di questo territorio.

Proseguendo verso il ponte girevole, fermarsi ad osservare le due sagome imponenti che sovrastavano il sottopassaggio, temporaneamente aperto ma di solito in disuso, è stato spontaneo. Sono i muri che imprigionano Taranto impedendole di scegliere il suo destino. Sagome eloquenti che mostrano le spalle a questa città. Ma scendendo quelle scale, i suoni e le immagini si fanno in un momento familiari. E di nuovo riconosco la mia città, nella voce e nelle parole di un uomo che emoziona, lotta, cambia, crede e resiste e che è spesso, a sua insaputa, ispirazione e stimolo per alcune mie scelte. Gli occhi lucidi arrivano in un attimo, come anche le risposte a molti dubbi che ultimamente mi pervadono e a volte rallentano i miei gesti di partecipazione al cambiamento.



L’ultima tappa era nel cuore della città vecchia. Palazzo Galeota. Vista, Udito e anima si saziano del tutto.
Mentre indosso delle cuffie che mi permettono di ascoltare i suoni provenienti da un giradischi, il mio viso è cupo, grigio. L’artista mi guarda e mi chiede “è dura, eh?” e allora gli mostro il viso di Francesco accanto a me: ha altre cuffie alle orecchie, il suono che ascolta proviene da un altro giradischi, Francesco sorride. Io ho ascoltato “parole di dolore”, lui “parole d’amore”. Provengono dalla nostra stessa città. La realtà non è racchiusa tutta nel vinile che ho ascoltato io. C’è altro. Il sorriso di Francesco me lo ricorda. Ne ho conferma ascoltando anche io. Dovrò continuare a ricordalo quando mi sentirò stanca.

L’ennesima emozione è affidata all’opera che mi permette di ascoltare suoni registrati per le strade di Taranto accompagnati dalle fotografie degli stessi luoghi. Mi viene in mente una mostra di Gabriele Basilico visitata nel 2008 a Bari. Lì, alle foto panoramiche del capoluogo pugliese erano associati dei suoni registrati dal regista Alessandro Piva. Fu suggestivo. Ieri è stato emozionante. Solo ascoltando avrei potuto capire a quale luogo appartenevano quei suoni, solo guardando le fotografie avrei potuto ascoltare nella mia testa i suoni di riferimento.

E così degli “stranieri” mi hanno fatto sentire a casa. Esprimendo in opera d’arte l’emozione, la frustrazione, il dolore, la fatica, l’incanto, la pace, il conflitto, il senso di impotenza e quello di bellezza che definisce il mio essere orgogliosamente tarantina e vivere quotidianamente questa terra.

E mi rendo conto, una volta di più, della potenza dell’arte. Della sua capacità evocativa, del messaggio che è in grado di veicolare, della forza che possiede e emana. E ho conferma di quanto la mia città ne abbia bisogno. Nutre l’uomo quanto il pane. Alimentarsi da infermi non è abbastanza. I sensi devono sentirsi sazi quanto lo stomaco. E l’anima e la mente hanno bisogno di energia quanto le braccia e le gambe, per cambiare il volto di questa città. Per renderla più simile agli esseri che la abitano, che non sono solo forza lavoro, ma, più di ogni altra cosa, genitori pieni di speranza e aspettative per i loro figli, giovani creativi e ambiziosi, professionisti senza aspirazioni da migranti,  ragazzi energici e sognatori.

La mia giornata normale è  proseguita come al solito. Lavoro e stress. Conti e progetti.

Fino alla sera quando, mentre l’italia guardava e criticava senza capire la poesia di un film da oscar, testimoniando ancora una volta di essere artefice dell’orrore in cui sta precipitando,  io assistevo ad un’altra “grande bellezza” tutta nostra. E ancora una volta ho molto da imparare da chi non condivide con me questa realtà. Ascoltare un musicista affermato che, spontaneamente, decide di mettere a disposizione tempo, parole, contatti e consigli per creare un evento che ha l’ambizione di urlare, anche quest’anno, la necessità di cambiamento di Taranto, senza chiedere niente in cambio, è “bellezza” vera. 
E mi sento fortunata ad incrociare nella mia vita tanta luce. 
Ed è uno schiaffo a chi continua a non muoversi per il cambiamento ritenendolo impossibile, a chi si è venduto per una poltrona più comoda ed è una nuova risposta per quei dubbi che a volte rallentano la mia corsa e che sono causati dalla fatica, dalla frustrazione, dalle complicazioni della quotidianità, dalla difficoltà incontrate nel confronto con gli altri.

La mia lunga giornata normale è finita poco dopo. 
La normale buonanotte ad alcuni pezzi della mia vita, e uno strano (e un po’ affaticato) sorriso stampato in faccia.

venerdì 14 febbraio 2014

Cos'è un ribelle? Un uomo che dice no (Albert Camus)



Mercoledì a Taranto non è successo qualcosa.

Mercoledì gli ex Baraccamenti Cattolica non sono stati sgomberati.

Mercoledì il movimento Officine Tarantine non è stato sradicato dal luogo in cui è nato.

Mercoledì non sono stati murati in tutta fretta gli accessi ad una struttura posta nel pieno centro cittadino, di proprietà comunale e in evidente stato di abbandono, fino a circa quattro mesi fa quando ha ricominciato a vivere grazie ad un gruppo di ragazzi ancora animati da un sentimento di speranza verso questa città.

E non è successo non per volontà di un’amministrazione comunale illuminata e in grado di usare tutti i sensi di cui dispone. 

L’udito per ascoltare le reali esigenze urlate della comunità che dovrebbe amministrare. 

La vista per guardare il cambiamento in meglio che movimenti, nati dall’ostinazione e dall’energia di chi non si arrende al futuro negato dal rischio di malattie o disoccupazione, sono stati in grado di portare negli ultimi mesi in molte zone della città, aumentando la sensibilità e il senso di appartenenza al territorio di tutti i cittadini. 

Il tatto per tastare le reali potenzialità, emerse in poche settimane, di un luogo perso da decenni in beghe burocratiche e generale disinteresse.
Il gusto per continuare ad assaporare e difendere i prodotti unici e caratteristici che la propria terra potrebbe offrire e che invece è costretta a smettere di coltivare.

L’olfatto per sentire l’odore di pareti pulite verniciate da poco, di una cucina che sfama decine di ragazzi instancabili dopo turni di pulizia e lavori di ristrutturazione, del legno tagliato per costruire scalette, porte, mobili e strutture di rinforzo, della terra e dell’erba di aree verdi, merce rara nella città dell’acciaio. 

E infine il più importante di tutti: il buon senso. Quello che dovrebbe spingere l’amministrazione locale a cercare un confronto con le realtà positive e attive di questa città e non apportare una firma su un documento per permettere uno sgombero senza dialogo.


Ieri lo sgombero non c’è stato perchè una manciata di tarantini, utilizzando tutti i sensi di cui sopra, ha detto no. E ha scelto. Ha scelto di sostenere questi ragazzi che quattro mesi fa sono entrati, con l’intento di renderlo fruibile, in quello che un tempo era il cral Arsenale (una serie di edifici e aree verdi con sale incontro, sale giochi, un cinema, una birreria ecc), ora proprietà del Comune e in assoluto stato di abbandono da quando è stato dismesso dalla Marina Militare un ventennio fa. 

Questa manciata di tarantini, mercoledì, ha preso una decisione su ciò che è meglio per sé e per la città che abita, e lo ha mostrato, a braccia alzate e mani libere sulla testa, ai poliziotti, in inutile tenuta antisommossa, che cercavano di chiuderli fuori il cancello. La tensione c’è stata. La violenza no. E la polizia alla fine è andata via. Almeno fino ad ora.


Ma la scelta ormai la gente l’ha fatta.

Perché se è vero che le regole sono importanti e che le Officine Tarantine le mettono in crisi, costringendoci a dibattere sulle perplessità che nascono intorno alla decisione di intraprendere l’occupazione abusiva di un luogo pubblico (sebbene portata avanti in nome di un interesse collettivo), è vero anche che le regole devono essere importanti sempre e per tutti nello stesso modo. 

E se io vivo in una città il cui sindaco giustifica lo sgombero in quanto tenuto alla tutela della salute delle persone, e poi lo ritrovo indagato per l’inchiesta “Ambiente Svenduto” (che con la salute ha molto a che fare) insieme al governatore della regione e a svariati assessori regionali e provinciali, penso che, oltre a vivere secondo le regole, devo trovare un modo per difendere la mia vita e il mio futuro nella mia città da chi in realtà non la tutelerà mai, ma al contrario ride sulla possibilità che mi ammali.

E quando vedo che questa città è abitata da gente che, sostituendosi all’amministrazione locale e senza alcuno scopo politico o economico, si occupa di pulire e rifunzionalizzare piazze e aree verdi pubbliche, ricerca luoghi da bonificare e aprire a tutti, per costruire spazi in cui potersi esprimere e dare vita alle proprie idee, si riunisce e si scontra anche sei giorni a settimana in assemblee pubbliche, alla ricerca del modo migliore per restituire a questa città il volto che merita, la scelta di chi sostenere e quali regole seguire, diventa un po’ più semplice.

È per questo che sabato mattina sarà facile decidere di aderire alla mobilitazione organizzata dalle Officine Tarantine, che partirà da Via di Palma alle ore 9.00 e arriverà in Piazza della Vittoria per parlare, con chi ne avrà voglia, della “mancanza di spazi di aggregazione, di luoghi dove si respiri cultura, della quasi sempre forzata migrazione giovanile e dell'assenza di una concreta alternativa alla logica della grande industria a cui si contrappone la voglia di riappropriarsi del proprio futuro”


Io non so come finirà questa storia (anche se un presentimento purtroppo ce l’ho), quello che so è che mi aspetto che chi decide di amministrare una comunità sia migliore di me, è per questo che non intendo smettere di sostenere e difendere chi continua a dimostrare di esserlo, affinchè io possa continuare a scegliere ed essere davvero padrona della mia vita.


lunedì 3 febbraio 2014

sperimentàle #2 - materia


Nella storia dei miei lavori non sono mai stata io a trovare il materiale giusto, ma è sempre stato lui a venire da me.

Eppure sono perfettamente cosciente che la scelta del materiale è una fase fondamentale del processo creativo.

Per me il materiale è sempre stato parte dell’ispirazione.

Non mi è mai capitato di sceglierlo dopo aver visto il lavoro di qualche “collega” esattamente come non ho mai fatto mia una pratica molto diffusa in questo ambito, e cioè quella che porta ad affermare: “uh, bello quasi quasi lo faccio anche io”, guardando esposizioni o foto altrui

Io lavoro animata dall’ispirazione e nient’altro.
Per fortuna o purtroppo non sarei in grado di creare diversamente.

Ha scelto me il metallo che mi è stato messo tra le mani da bimba, il legno simbolo dell’incontro con Francesco e mi ha scelto l’ulivo che sancisce il legame con la nostra Terra, legame che è tornato prepotente con la ceramica incontro casuale e folgorante di qualche anno fa e che è diventata co-protagonista dei miei lavori, portandomi a eliminare, quasi del tutto, ogni altro genere di pietra e componente, infine il cuoio (che intendo inserire nei prossimi mesi dando finalmente forma ad un progetto pronto da un anno ormai) di cui ho scoperto le potenzialità inaspettate e affascinanti, guardando il lavoro straordinario delle mani sapienti di Giuseppe, artigiano fiorentino del cuoio.

Quindi, forse, nel mio caso, non parlerei di ricerca di materiale ma di incontro con il materiale e con chi gli dà vita.

È sempre stato qualcosa di istintivo e “fisico”. Toccare con mano un frammento, vederne la trasformazione tra le mani di un artigiano o tra le mie, conoscerne la composizione e apprezzare l’origine naturale della maggior parte dei materiali usati.


È l’ennesima prova che i miei lavori,  sono proprio la trasposizione di una parte molto intima di me.
Sono veri incontri che mi arricchiscono e aggiungono valore, rendono realmente preziosa ogni materia prima: dal legno  d’ulivo proveniente dalla potatura a medio termine sempre dello stesso campo, alle pietre in ceramica infornate sempre dallo stesso maestro artigiano, al cuoio ricavato dagli scarti della creazione di porta spiccioli fiorentini.

La combinazione tra i materiali è sempre stata un forte spinta nel mio lavoro.

Accostare metalli “vili”, ma orgogliosamente  lavorati con tecniche di forgiatura e traforo, a materiali inaspettati come il legno, la ceramica e il cuoio l’ho sempre ritenuta una peculiarità delle mie creazioni. Una parte della mia identità che tendo a difendere e conservare.

La collana della foto è un esperimento fatto ormai da un po’ di tempo ma che non espongo perché sento che non è ancora nella sua forma definitiva. È una collana in legno e ceramica. Due materiali che raramente ho visto abbinati ed è stata una delle prime creazioni realizzate quando io e Francesco abbiamo deciso di far entrare il legno nella nostre linee di gioielli. É la nostra essenza, ci dice chi siamo, da dove veniamo, da cosa siamo partiti. Fu un esperimento che ci ha convinto e che continueremo a proporre e a reinterpretare.

In ogni caso, in questi giorni questo pezzo è sul mio banco di lavoro pronto ad assumere la sua vera forma. 
E io attendo ansiosa la sua trasformazione.

"Il momento del cambiamento è l'unica poesia."

giovedì 23 gennaio 2014

sperimentàle #1 - gli sCOPPIAti


“La nostra meta non è di trasformarci l'un l'altro, ma di conoscerci l'un l'altro e d'imparar a vedere e a rispettare nell'altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro completamento" Hermann Hesse - Narciso e Boccadoro

Questa è la citazione con cui ho sempre accompagnato la presentazione della mia prima vera linea di creazioni: “gli Scoppiati”

Il mio lavoro e la mia vita sono strettamente legati.

È un legame che vivo con incoscienza. Le mie ispirazioni difficilmente sono connesse al lavoro di qualcun altro (magari più talentuoso), alle nuove tendenze nel campo della moda e degli accessori o al colore dell’anno scelto da Pantone (che in genere scopro sempre troppo tardi), e probabilmente (o sicuramente) più che motivo di vanto, questo è un limite, visto il campo all’interno del quale mi ritrovo a lavorare. Le mie ispirazioni vengono da sensazioni che mi travolgono come ondate e a cui cerco di dare forma per evitare di sentirmi sopraffatta dalla costante necessità di espressione che mi caratterizza.

É un modo per “arginare” il sovraffollamento di sensazioni che avverto qualche volta.

La collezione “gli sCOPPIAti” è nata per caso. È nata quando nemmeno sapevo cosa significasse creare una linea di gioielli.

Ed è la somma di tante parti di me.

Un corso da orafa, troppo breve e troppo affollato, mi ha permesso di scoprire il traforo su metallo.
Non mi sono mai sentita esattamente a mio agio con una matita in mano. Ma un seghetto che frattura un materiale e delinea una forma è diventato il mio strumento espressivo.

Ho in mano fili in rame provenienti da scarti di officine, dall’età di 7 anni, quando un’amica mi insegnò  come modellare un gancio per orecchini. Crescendo ho compreso il valore aggiunto assunto da una creazione proveniente da materiali dalle caratteristiche sostenibili, naturali e riciclabili o provenienti da scarti di lavorazione. L’alluminio e il rame sono diventati senza perplessità i miei metalli preziosi.

La mia educazione all’immagine è stata segnata dall’avere sempre avuto una macchina fotografica in mano dall’età di 10 anni e da un padre appassionato di fotografia e arte. E così l’immagine, il simbolo, l’immediatezza di un segno, l’ho sempre vissuto come un potente mezzo di comunicazione spesso più di ogni parola ben ricercata.

“Due non è il doppio ma il contrario di uno, della sua solitudine. Due è alleanza, filo doppio che non è spezzato", leggere l’ennesimo libro di Erri De Luca ha fatto il resto.

La doppia natura che mi perseguita e mi definisce, l’ho riportata nel mio lavoro.
Formazione: scientifica quella accademica, artistica/artigiana quella lavorativa.
Origine: nasco, cresco e vivo nella città dei due mari, dei due ponti, delle due vocazioni, dei due borghi.
Capelli: quasi completamente lisci, fatta eccezione per una ciocca crespa nella parte sinistra del capo.
Natura: puntigliosa e disordinata, orgogliosamente buffa e in crisi con il mio aspetto, insofferente nei confronti della gente ma temo la solitudine, mi piace indossare i tacchi senza truccarmi il viso, ordinata nel mio caos, odio il suono della mia voce ma rileggo mille volte quello che scrivo.

Due mani, due occhi, due gambe, due genitori.
Due.

Dualismo come superfici piene che si alternano al vuoto che non è assenza ma, al contrario, delinea il contorno di qualcosa.

Gli scoppiati nascono da questo.

E dopo il primo paio, un punto interrogativo e uno esclamativo creati circa 4 anni fa e assolutamente profetici su quello che sarebbe accaduto, mi sono lasciata andare. 

La comunicazione affidata al simbolismo è stata la scintilla che ha innescato questa linea.

L’effetto è stato l’evocazione di caratteristiche della natura umana, di pensieri, di atmosfere, di immagini e contesti. Ovviamente senza la pretesa di lanciare messaggi definiti. L’unica spinta è stata farsi ispirare con leggerezza dagli stimoli che il mondo, reale e virtuale, manda di continuo, con i suoi costumi in evoluzione, con la natura umana contraddittoria e versatile, con le abitudini in cambiamento, con i ricordi e i sentimenti che animano i passi quotidiani.
E a quei passaggi VEDO → PERCEPISCO → CREO si sono aggiunti INDOSSO → COMUNICO.
Sono nati più di quaranta paia di orecchini diversi e credo di non essere alla fine. Il mio lavoro si è dimensionato attraverso questa collezione e io sono cresciuta con lei.

È migliorata la mia capacità di traforare sul metallo, tanto da permettermi di arrivare ad aumentare lo spessore dell’alluminio usato, rendendo i pezzi più robusti; è aumentata la complessità dei miei disegni.
Traforare disegni molto complessi su piastre di diametri ristretti di un metallo così morbido, ad un certo punto, è diventata quasi una “sfida”.“Forzo” il metallo e la tecnica il più possibile per poter creare manufatti dai disegni complessi ma che rimangano resistenti alle sollecitazioni che in genere subiscono degli accessori di uso comune.
Da questa azione un po’ estremista sul metallo e dalla voglia di evocare pensieri e sensazioni attraverso immagini e segni, nascono di continuo molte idee spesso trasformate in altre nuove collezioni.

Come “Appuntamenti” che è una linea di spille e ciondoli in rame, alluminio e ottone traforati. Alcuni disegni qui si fanno più complessi e articolati, quasi con l’ambizione di raccontare piccole storie all’interno di piastre di pochi centimetri di diametro.

Oppure la nuova linea di anelli a fascia in alluminio, creata da poche settimane e che ripropone quella idea di comunicazione affidata all’immediatezza di una immagine o di un simbolo.

O ancora la collezione uomo che è in fase di progettazione proprio in questi giorni.

Per non dimenticare i tanti lavori originati da un istante di ispirazione e difficilmente “catalogabili” all’interno degli schemi rigidi richiesti da una collezione, che spesso ricerca punti di contatto tra i vari manufatti.
Poiché, per me, tutto diventa ispirazione, un suono, una parola, un sogno, una passione l’associazione di due persone, una fotografia, un’immagine, una battuta ironica, il sarcasmo, una risata, quando poi mi ritrovo a progettare qualcosa, cerco solo il modo per richiamare quella sensazione, senza chiedermi se poi quel lavoro è “fratello di sangue” di qualcuno già creato. 


Mi rendo conto che parlare del mio lavoro comporta il racconto della mia storia o di una parte di essa, e questo spesso non risulta particolarmente interessante. Quando mi imbatto un post del genere (di qualcun altro), mi annoio da morire.

Ma, al di là dello scarso interesse che può suscitare, non posso farne a meno.

Ieri qualcuno mi diceva “conoscere e accettare i propri limiti non serve a fermarci ma ci definisce”.

In questo momento della mia vita e del mio lavoro è di questo che ho bisogno.

Percepire e accettare i miei limiti e definire il mio contorno.

Per portare avanti la vita e il lavoro che mi è capitato di scegliere.
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